LIGONDE – MELIDE

12 Agosto 2010

XXVIII tappa

 

Seguire le impronte di Cristo per capire come accogliere chi cade, chi si ferma per la strada, chi “non è amato, non voluto, dimenticato, perché la grande povertà è il frutto del rifiuto.” (Madre Teresa di Calcutta), perché, quando si è stanchi e i passi sono pesanti, ci sia sempre qualcuno che tenda la mano e quella di Cristo potrà essere la tua.

 

Lasciamo quella piccola comunità di Ligonde abbastanza presto, ma non tanto, perché la colazione è già pronta e ne approfittiamo. La giornata si preannuncia serena e nella frescura dell’alba si cammina proprio bene. La strada si stende con una docilità complice per il godimento di ogni angolo, ogni curva, ogni discesa, anche ogni salita, con scorci d’infinito che assumono tutti i colori dell’iride. Come non essere felici? Quando, poi, si guarda avanti con a fianco la persona che più ami? E così i villaggi, i paesini – Eirexe, Portos, Lestedo, Valos, Mamurria, Avenostre, scivolano via e ti segni i loro nomi, per non dimenticarli, quali tasselli di questa meravigliosa storia che stiamo vivendo. Anche l’Alto del Rosario (635mt) ci serve per ricordarci dell’impegno alla preghiera, e appena dopo arriviamo a Palas de Rei, il paese più significativo dal punto di vista demografico. Niente da rimarcare nel suo superamento, solo mi piace ricordare la scena quasi tragicomica vissuta con il Gianni nel 2007. Avevamo lasciato parcheggiato uno dei pulmini a Palas de Rei che, allora, era fine tappa. Poi, con quello saremmo andati a prendere il secondo fermo a Portomarin. Quando arrivo a Palas de Rei, il Gianni era già sul posto e, venendomi incontro, agitatissimo, diceva che ci avevano rubato il pulmino perché non c’era dove l’aveva lasciato. A me sembrava strano perché ricordavo che l’avevamo lasciato dopo una curva, più sotto, proprio al centro del paese, ma lui, no, ad insistere che doveva essere lì, e avanti e indietro e del pulmino nessuna traccia. Dopo un po’, mi decido e lo costringo a scendere più avanti ed il pulmino stava là, con tanta gioia del Gianni che, come se niente fosse, se ne sale e via sfrecciando verso Portomarin.

Con i due pulmini recuperiamo tutti gli amici e proseguiamo, neanche troppo, perché avevamo prenotato a San Xulian do Camino, piccolo villaggio successivo a Palas de Rei, presso l’Albergue “O Brigandero”. Luogo ameno, immerso nella campagna galiziana, quattro case, con chiesa e cimitero annessi, sembrava di essere fuori del mondo, a parte le urla e le litigate dei gestori, marito e moglie che non se le mandavano a dire. In ogni modo, l’alloggio risultò confortevole e pure la cena, sempre offerta, a modico prezzo, dal Brigandero, nome più adatto non poteva scegliere, detto simpaticamente.

Ritornando al presente, quest’oggi, quando gli siamo passati davanti, O Brigandero era ancora chiuso, perciò anche San Xulian, come Casanova, Couto, Leboreiro, Disicabo, sono scivolati via, dietro ai nostri zaini che cominciavano, comunque, a diventare sempre più pesanti. Per la verità, infatti, a Leboreiro (si entra nella provincia di La Coruna) ci siamo presi una bella sosta per visitare una piccola e bellissima chiesa e ammirare un paio di antichi Horrios. Anche a Furelos, ultimo paesino prima di Melide, ci siamo fermati ed abbiamo fatto l’incontro più inatteso della giornata.

Quando ci si mette in cammino, si programma, più o meno, quanti chilometri si vorranno percorrere, quale potrà essere il luogo di arrivo, quante ore si prevede d’impiegare. Eppure non tutto può essere pianificato. Come avvenne a Furelos. Ci arriviamo attraverso un antico ponte romano ad una sola arcata, altissimo sopra l’acqua. La foto è inevitabile e, poco dopo, nella via che attraversa il villaggio, incrociamo un piccolo gregge di pecore condotto da un’anziana donna, che spiega perché le pecore avevano una zampa anteriore e una posteriore legate insieme da una corda: così non potevano correre e la vecchierella poteva condurle al pascolo e recuperarle senza rischio di perderne alcuna.

Ma è nella chiesa del paese, dove entriamo, che abbiamo l’incontro più inaspettato. Sulla destra dell’unica navata vi è un crocifisso di Gesù Cristo a dimensione reale. Di buon pregio, non antico, primi ‘900, ma ciò che ci attira verso di Lui è il fatto che il braccio destro non è inchiodato al palo, bensì è disteso verso il basso, quasi come tendesse la mano a coloro che stanno ai suoi piedi. E stiamo a bocca aperta, la preghiera di ringraziamento rimane inespressa sulle labbra e capiamo che Lui, in quella condizione di crocifisso, di Uomo sofferente a causa della follia degli uomini, non cessa di voler aiutare chi a Lui volge lo sguardo. Che sia il “buon ladrone” o che sia il pellegrino di oggi, noi pellegrini stanchi e doloranti, non cambia la sua volontà di accompagnarci, di guidarci, nel Sacrificio che si fa storia e si svolge fino a noi, oggi, che inaspettatamente lo incontriamo in un crocifisso e che ci accoglie con il suo gesto di tenerezza, quasi a voler prendersi cura, con la sua mano tesa in consolazione e benedizione anche per noi.

Consolati e “benedetti” da un sacerdote che in ottimo italiano ci ha spiegato la genesi, secondo il suo punto di vista, di quel crocifisso, alle 13,40 giungiamo a Melide. Una città come si deve, popolosa, movimentata, qui infatti convergono altri due “Cammini”, quello detto “Primitivo” che viene da La Coruna e quello chiamato “Del Nord” che viene da Oviedo, e si riuniscono nel nostro “Francese”. L’albergue comunal si trova dall’altra parte della città e quando lo scopriamo è già strapieno, ma c’è ancora posto, perciò facciamo la fila per registrarci. E’ grande, su tre piani, ci sono un sacco di volontari ed è ben tenuto, ma organizzare un così alto numero di ospiti non è facile. Infatti, quando arriviamo ai posti che ci hanno assegnato, sono già occupati, evidentemente le “usurpatrici” avevano sbagliato, ma per farci capire che dovevano sloggiare è stato necessario ricorrere alla “forza bruta” dei valorosi volontari. Tutto è bene quel che finisce bene, si suol dire, e così finì la nostra giornata, con una cena favolosa presso una super “pulperia”, dove abbiamo finalmente goduto del famoso “polpo gallego”. Mariella entusiasta ed un poco brilla, una bottiglia di bianco in due e due bicchierini di liquore ad hoc, si è fatta accompagnare alla base con una leggerezza ammirevole e non ha fatto in tempo ad appoggiare il capo che già il mondo dei sogni era solo il suo. Il mio doveva fare ancora i conti con il mio piede destro che necessitava ancora di una buona dose di ghiaccio secco, fortunatamente recuperato presso la farmacia del paese. Giusto il tempo di una “compieta” ed il sipario odierno si è chiuso.