VILLAFRANCA DEL BIERZO – O CEBREIRO

Domenica 8 Agosto 2010

XXIV Tappa

 

“Farò camminare i ciechi per vie che non 

conoscono, li guiderò per sentieri sconosciuti,

trasformerò davanti a loro le tenebre in luce,

i luoghi aspri in pianura” (Is 42,16)

 

Ed ecco la madre di tutte le tappe. Ci siamo, finalmente, partiamo emozionati e paurosi. Villafranca del Bierzo (505mt slm) è buia e deserta, sono le 6,10, s’aggira solo, l’ho riconosciuta, la pellegrina che era stata ai nostri calcagni nella tappa da Astorga.

Il primo paese che incontriamo si chiama Pereje, qui si potrebbe optare per una variante che evita di camminare a lato della statale, ma si sale e si scende, allungando di due chilometri, non fa per noi. Il secondo paese è Trabadelo dove, approfittando per la colazione, verifico lo stato del mio piede sinistro che lancia segnali di fumo. Devo ricorrere ad un cerotto antivescica. Il traffico sulla statale aumenta, pur se è domenica e nonostante la nuova superstrada che sovrasta il fondovalle con vertiginosi viadotti. Finalmente imbocchiamo la provinciale che s’addentra ancor di più nella stretta valle verso la Cordigliera Cantabrica. I paesi cominciano ad avere la caratteristica fisionomia di paesi di montagna: Ambasmetas, dove ci riposiamo e ci facciamo un caffè, Vega de Valcarce (il nome della valle), Ruitelan, dove ci liberiamo degli zaini e presso l’unico bar facciamo rifornimento (è già l’ora di pranzo). Dopo Los Herrerias (siamo ancora sui 650mt slm) comincia lo strappo, ci si inerpica in mezzo ai boschi, un tetto di foglie sopra di noi, un duro sentiero di sassi e fango sotto i nostri piedi. Non dico quante pause, quante persone ci hanno superato, fino a quando sbattiamo ad un muro di cinta, un cartello ci avvisa che siamo a La Faba (915mt slm). Sono proprio quattro case, con un bar ricavato in un garage e una fontana dove si stava facendo il bagno un cagnone nero, stazza san bernardo. La sua padrona, una gracile fanciulla se ne stava sdraiata sull’erba a prendere il sole. Ho cercato vacche al prato, ma non ne vedevo, a ben ragione, perché, l’ho capito poi, era una pellegrina in cammino con il suo cane, e guai a chi si avvicinava. Comunque, anche noi ci siamo stravaccati per un po’ e solo a malincuore abbiamo ripreso, perché la stanchezza era veramente tutta sulle nostre povere spalle, sostenute malamente dalle gambe che non tenevano più, andavano un po’ per loro conto. Così, abbiamo raggiunto Laguna de Castilla (1200mt slm), ultimo paese prima dell’ingresso in Galizia, che non abbiamo degnato di uno sguardo, chinati come muli nell’andamento lento ma progressivo. Arrancando, ansimando, ma gioiosi posiamo per la foto di rito accanto al cippo che segna il confine regionale, mentre in lontananza crediamo di vedere il passo dove dovrebbe esserci O Cebreiro (1330mt slm).

Avevamo visto giusto, manca poco, Mariella dice che le gambe non vogliono più proseguire ed in effetti sembra stravolta, allora, dato che il sentiero si allarga, la prendo per mano e così entriamo alle 15,30 in paese. Abbiamo impiegato più di 9 ore.

C’è mercato, un sacco di gente, l’albergue pubblico(110 posti) è stracolmo, non c’è più posto, giriamo cercando una sistemazione, il piede destro mi fa un male boia, per fortuna all’ultimo hotel hanno ancora una stanza libera a 40€, goduria infinita.

Doccia, relax, riposino e poi…di corsa (si fa per dire) alla Cruz Red per farmi medicare il piede: dopo la doccia ho pensato bene di togliermi il cerotto ed ho tolto anche dell’altro, lasciando il dito incriminato a carne viva. L’infermiera è stata molto gentile a gesti, ma quante me ne avrà dette in spagnolo, in compenso la medicazione ha raggiunto dimensioni tali da costringermi alle ciabatte.

Il piazzale dove si trovava il prefabbricato medico è pieno di macchine, pullman  e altro, cioè tende di pellegrini, fra cui anche quella dei due giovani francesi di Cacabelos. Anche lui conciato male con il ginocchio, e per non smentirsi, con una nuova bottiglia di vino, oltre al resto, per prepararsi ad affrontare la notte.

Nonostante le precarie condizioni fisiche, e comunque sufficientemente ristorati e ritonificati, ci siamo fatti il giro panoramico del paese: paesaggi mozzafiato, fantastiche “pallozas”, le caratteristiche case circolari di pietra con tetto di paglia a forma di cono. Ci siamo fermati davanti al monumento che ricorda la vita del sacerdote Don Elias Velina, parroco a O Cebreiro, il padre del Camino, perché grazie alla sua intraprendenza (sua l’idea delle frecce gialle) si è innescata la scintilla che di fatto ha riavviato il grande e misterioso evento del pellegrinaggio ad Limina Jacobi.  Si respira un’aria particolare: nell’intrico delle viuzze, verso sera quando il grosso dei turisti se n’è andato, sembra di essere in un altro mondo, un non so che di misterioso che queste case “celtiche” hanno assorbito nei tempi e nella storia, tramandata anche dalla semplice e nuda chiesa di Santa Maria La Real.

Antico edificio preromanico a tre navate di solo pietra che t’invita alla preghiera davanti all’immagine della Madonna (XII secolo), ma soprattutto davanti al reliquario del “Caliz del Milagro”, il miracolo eucaristico che avvenne verso la fine del XIV secolo. Ecco la storia: gli attori sono un sacerdote deluso dalla sua condizione di vita, là inviato ad esercitare il suo ministero in solitudine, in mezzo a gente zoticona ed ignorante, e un contadino di un villaggio vicino che per partecipare alla Santa Messa salì al “O Cebreiro”, nonostante l’imperversare di una tormenta di neve che lo fece arrivare in ritardo, provocando, in cuor suo, un forte dispiacere. Il sacerdote che celebrava si domandava a chi servisse quella Messa in un giorno d’inverno con tempesta di neve in corso, e quando vide arrivare il contadino rise, così, silenziosamente di lui e di tutta quella fatica per ricevere un po’ di pane e di vino. Ma, al momento della consacrazione, l’ostia che egli teneva in mano si trasformò realmente in carne ed il vino in sangue, facendo trasalire il prete. Il contadino ricco di fede e il prete incredulo sono seppelliti insieme, uno accanto all’altro, sotto il “Caliz del Milagro” che testimonia una verità incontestabile ancora oggi, soprattutto oggi, quando vorremmo tutto ridurre ad una razionale spiegazione, pena la derisione di chi crede in umiltà e fede.

Non potevamo che restare in contemplazione di questo evento, sorpresi per il dono che ci veniva offerto in questa speciale giornata (alle 20,00 abbiamo pure assolto al precetto domenicale) di cammino, come un miracolo che si rinnova proprio per noi. Infatti, se e quando il dubbio assale anche noi, quando si tratta, comunque, di essere fedeli alla Messa festiva, lasciamoci portare dal Mistero Eucaristico, vero ristoro e vera presenza amica di Chi non è mai stanco di noi poveri pellegrini.