NAVARRETE – NAJERA
Nona tappa

13 Agosto 2008

h.5 di cammino

 

“Egli dà la forza allo stanco e moltiplica il  vigore allo spossato.

 Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e

 cadono, ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza,

 mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano

 senza stancarsi.” (Is 40,29-31)

 

Ci viene prospettata una tappa come quella di ieri, con una partenza, però, da handicap perché sperimento l’incubo di ogni pellegrino, una vescica al mio piede destro. La Parola di Isaia mi è di consolazione e la giornata è tutta davanti a noi.

Appena fuori da Navarrete si passa davanti al cimitero dove si può ammirare un bel portale gotico. Un segno della croce contornato da una parte di una bella poesia di un pellegrino, Fabio Cattaneo, è quanto ci vuole per iniziare bene:

                                

                               “fermati straniero, arresta un istante il tuo passo veloce pieno di             

                                 vita e geloso del mondo; getta un momento la tua ombra 

                                 frettolosa sull’arida pietra riarsa dal sole; togli col tuo sguardo     

                                 la polvere dei secoli che muta e pesante, bagnata dall’odio,

                                 ristagna sul vecchio sasso rovente”.

 

Si rincontra la statale nr.120, superiamo, poi, un passaggio dove un cippo ricorda la morte di una pellegrina belga, vittima di un incidente. Sul cammino ne troveremo altri e ogni volta la tristezza ci pervaderà al pensiero che erano anche loro pellegrini “ad limina jabobi” chiamati, però, ad un altro pellegrinaggio. Ora, comunque, i tratti più compromettenti con il traffico veicolare sono stati quasi tutti messi in sicurezza. In ogni caso, per quest’oggi, preferiamo procedere con una deviazione che ci porterà al paesino di Ventosa, dove faremo colazione. E non solo. Davanti all’ingresso della chiesa situata sul poggio, al riparo dal vento, recitiamo le nostre lodi mattutine e diamo la sveglia ad un piccolo gruppo di giovani ancora appollaiati sul piazzale attorno alla loro tenda. Ce ne sono parecchi che percorrono il loro tragitto con appresso la tenda, risparmiando così ulteriormente e senza alcun vincolo organizzativo, dove vogliono fermarsi si fermano. E’ facile immaginare le controindicazioni, ma gli appassionati naturalisti non disarmano certo per così poco.

Alcune persone vengono ad aprire la chiesa nel bel mezzo della nostra preghiera, la visitiamo e ci prepariamo mentalmente ad affrontare l’unica difficoltà della tappa: l’Alto di San Anton.

Mentre saliamo, ci lasciamo distrarre da una serie continua di piccoli, medi, grandi, omini di pietre che fiancheggiano il sentiero. Sono il progressivo lavorio di tutti quei pellegrini che, in fase di sosta per alleviare la fatica, aggiungono pietra su pietra in una sorta di condivisa riaffermazione del proprio avvenuto passaggio. Cioè, anch’io faccio un pezzo di cammino. Mistero della fantasia umana.

Giunti al passo, all’orizzonte già s’intravedono le rosse rocce sotto cui è appoggiata Nayera. La discesa è veloce e abbastanza facilmente siamo già alla periferia della città. Prima di entrarvi, su un muro di una fabbrica leggiamo:

 

      “Polvere, fango, sole e pioggia, è il Cammino di Santiago, e migliaia di pellegrini,

       di mille anni. Pellegrino chi ti chiama? Quale forza sconosciuta ti attrae?

       Né il Campo delle stelle, né le grandi cattedrali.

       Non è la bravura navarra, né il vino dei riojanos, né i frutti di mare galiziani,

       né i campi castigliani. Pellegrino chi ti chiama? Quale forza sconosciuta ti attrae?

       Né le genti del Cammino, né le tradizioni rurali. Non sono la storia e la cultura,

       né il gallo della Calzada, né il palazzo di Gaudì, né il castello di Ponferrada.

       Tutto ciò vedo al passare, ed una gioia vederlo, ma la voce che mi chiama

       la sento nel profondo.

       La forza che mi spinge, la forza che mi attrae, non so spiegarla nemmeno io.

       Solo Lui lassù lo sa!”

 

Bel poema, e con queste note liriche nel cuore entriamo nella città vecchia dove cerchiamo subito una sistemazione che troviamo in un appartamento presso una palazzina dependance di un vecchio albergo. La pulizia lascia alquanto a desiderare, ma ci accomodiamo per il rituale riposo, dopo un fugace pasto al sacco.

Nayera, il cui nome di origine araba significa “luogo fra le rocce” si vide conferire il titolo di “capitale del Regno di Navarra”. Il pomeriggio lo trascorriamo nel visitare il complesso monastico di Santa Maria la Real, costruito a ridosso di una grotta ritenuta miracolosa. Infatti, raccontano le cronache, mentre il tal Re era a caccia, nel seguire e cercare il suo falcone, lo trovò in quella grotta dove - il miracolo - vide una bella immagine della Vergine con una lampada accesa ed un prato di gigli. Rapito da “questa chiamata”, vi fece costruire attorno il monastero e tutt’oggi vi è ancora conservata quell’immagine sempre illuminata da una lampada. La chiesa è notevole, ammirevole il chiostro gotico e il retablo maggiore d’influenza barocca. Sotto la chiesa, incuneato fra le rocce vi è il Panteon Real, dove sono sepolti gli antichi re navarri. E’ uno spettacolo, sembra d’immergersi in un’altra dimensione.

Usciti, il sole ben scalda ed accende l’argilla della parete di rocce che sovrasta la città. Praticamente le case sono state costruite davanti ad una linea continua di grotte naturali oppure  scavate dall’uomo come prime abitazioni.

Mi ricorda moltissimo il mio paese di nascita, Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa. Anche il mio fu costruito a ridosso di grotte naturali chiamate “dammuso”. Questo ambiente era propriamente adibito al ricovero degli animali, davanti ad esso veniva posta una stanza, con una sola porta che dava sulla via e quella era l’abitazione per i “cristiani”. In un posto come questo io sono nato nel lontano, lontano, lontano…

Posso dire di essere nato in una grotta, ma a differenza di Dalla, non mi chiamarono Gesù Bambino.

Ma torniamo a Najera, girando in largo e in lungo, rilassandoci sulle rive del fiume Najerilla, tirammo sera per il consueto “menù del dia” che però non mi ha dato soddisfazione. A Mariella, invece sì, perché ha molto gradito i classici spaghetti con pomodoro, cosa rara in Spagna. Nostalgia canaglia?, no solo opportunità da segnalare per ricordare l’impareggiabile eccellenza della dieta mediterranea.

Le luci della notte si accendono, quelle dei sogni si affievoliscono per lasciarci andare anche nel sonno. E’ come quando vai a funghi, a fine giornata, a letto, quando stai per addormentarti, non vedi altro che funghi. Così è sul Cammino, non vedi altro che passo dopo passo.